Non preoccupatevi “mo’bbeghio!” [Me la vedo io, N.d.R.]. Così potrebbe cominciare la storia che stiamo per raccontarvi. E’ la storia di un poliziotto che 20 anni fa, in una ridente città del nord, prometteva ai colleghi e agli amici che, scendendo al sud a trovare la famiglia, sarebbe risalito con un “fritto” da far impallidire Lucullo. Il “fritto”, per chi non lo sapesse, è un misto di frattaglie e tranci di organi interni del maiale o dell’agnello da cucinare, appunto, fritti. Per i cultori del genere è una specialità succulenta. Beh, ogni volta che questi scendeva dalla famiglia, risaliva a mani vuote. Una volta per una scusa, una volta per un’altra, l’assistente “Mo’bbeghio” il fritto non lo portava.

Così i colleghi, trascorsi invano prima mesi e poi anni, capirono che se non avessero messo “mano alla sacca” loro, il fritto non l’avrebbero mai mangiato. E fu così che Mo’bbeghio, coperto di scuorno, si trovò a mangiare il fritto che gli amici suoi avevano preparato e apparecchiato a tavola.

La morale è sempre quella…

Questa forse divertente storiella, ha una sua morale che può essere traslata facilmente sulla situazione della Felice Scandone. Aspettare che Mo’bbeghio provveda a pagare le pendenze, visti i precedenti, significa affidare le pecore in mano ai lupi o meglio il bancomat ad un ragazzo dentro GameStop. E neppure si possono avvallare i commenti di chi punta il dito verso i creditori. Potevano aspettare un altro poco, dicono. Certo, tutti bravi con il sedere degli altri. Chi pratica questo sport a livello agonistico lo fa anche perché gli consente di vivere e di crescere come persona e come nucleo familiare.

Gratis c’è solo il formaggio nelle trappole per topi. Il lavoro va retribuito, sempre. A meno che non lo si sappia prima che è prestato a titolo gratuito ed allora non è lavoro ma gentilezza, cortesia e favore fatto. Sui contratti non crediamo ci sia scritto nulla del genere ed allora questi vanno onorati e basta, magari tacendo un poco per la vergogna che Mo’bbeghio ha gettato addosso non solo alla società ma anche ad una comunità intera. Due decadi di massima serie non sono facili da cancellare ma basta poco per sporcarli. E diciamo che, in questo momento, già ci sarebbe bisogno di un lavaggio a 90° (ma temperatura fu più idonea a descrivere lo status quo).

Chi sta ora gestendo la società lo fa con salti mortali, sacrificio e abnegazione. Che siano persone che ci stanno provando con tutte le loro forze crediamo che nessuno possa negarlo. Ma sarà abbastanza lo sforzo?

Damocle

La storia di Damocle

Ed arriviamo a Damocle che in un racconto dell’antica Grecia si ritrova al posto del sovrano ad un convivio. Si diverte, comanda, prende decisioni sulle sorti degli invitati. Si sente, appunto, un re. Ma quando guarda in alto e vede una spada che pende sulla sua testa appesa ad un capello, capisce che quel potere è effimero e ci vuole assai poco perché morto un re, se ne faccia un altro. Ed allora decide di abbandonare le velleità di comando e tornare a fare il cortigiano.

Chi oggi ha in mano la Scandone sa che i suoi sforzi, per quanto grandi, per quanto impegnativi e per quanto fatti con slancio di passione, potrebbero essere vanificati da Mo’bbeghio. C’è poco da fare. Non c’è commissario, curatore, avvocato o sindaco che possa sapere cosa accadrà domani. Non guardando oltre, ma a gennaio cosa accadrà?

La domanda da 11 milioni di euro

Siamo sicuri che far partire oggi la campagna abbonamenti sia una scelta saggia senza dire chiaramente ai futuri abbonati cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi? Siamo qui a chiedere senza mezzi termini:

Dottor Scalella, Sindaco Festa, Dottor Santoli, potete garantire che a gennaio la Scandone starà ancora calcando i parquet della Serie B sui quali De Cesare ha trascinato la società?

La domanda è semplicissima. Chiedere è lecito, rispondere educazione. Dire “siamo sotto il cielo” non è una risposta che accetteremmo. Perché anche Damocle stava nella stessa situazione ma Damocle ha agito di conseguenza. La città è forse stanca di sentire frasi a metà, mezze promesse e false illusioni. Chi sa parli e chi non sa prenda tutti i provvedimenti necessari affinché, in caso di disastro, non ci si ritrovi a fare figure ancor peggiori di quelle fatte in estate.

Nuova gestione a nostro avviso deve anche significare rinnovamento nei modi. Trasparenza, coscienza dei propri limiti e predisposizione al dialogo. Avellino vuole soprattutto chiarezza e merita rispetto. Siamo certi che anche di fronte ad una richiesta di abbonarsi ad occhi chiusi, ci sarebbero un migliaio di persone pronte a farlo, a mettere mano ai propri risparmi ed aiutare questa gestione anche sapendo di buttare il proprio denaro. Però è lecito aspettarsi discorsi cristallini e limpidi, senza frasi smozzicate e parole sibilline. L’amore per la storia di questa società c’è ed è forte in tutta l’Irpinia. Bisogna solo saperlo riconquistare dopo quella pugnalata alle spalle della doppia retrocessione. La parola d’ordine dovrebbe essere “distinguiamoci”: da chi c’era prima, da chi ha gestito prima, da chi ancora dipendono le sorti della Scandone. Damocle dovrebbe insegnare…