Kobe

Kobe non c’è più. Chi scrive lo sta facendo con le lacrime agli occhi. Ogni perdita è dolorosa. Ogni perdita fa soffrire. Kobe però per la mia generazione ha rappresentato tanto. Un esempio da seguire: la sua dedizione al lavoro e al perfezionamento di sé stesso è diventata leggenda. L’idolo di quello sport così lontano ma così bello: il basket delle stelle NBA. Più campione, più simpatico, più nel cuore di tutti noi per quel suo italiano quasi perfetto, quel suo tenere l’Italia e gli italiani sempre nel suo cuore.

Incredulità. Ancora adesso che la notizia è confermata dai media di tutto il mondo. Kobe non c’è più. A 41 anni, con quattro splendide figlie (una probabilmente con lui al momento dello schianto) e una moglie, il fatto sportivo lascia presto spazio alla tragedia famigliare. Giovane, troppo giovane per andare via. Troppo veloce. Ognuno di noi avrebbe voluto dargli un ultimo decente saluto, tributargli quell’ovazione che scattava naturalmente ogni qual volta entrava in un palazzetto. Difficile lasciare andare in questo modo una campione di tale spessore. Insopportabile pensare alle 5 vite spezzate per un’avaria di un mezzo meccanico. Sconcerto e dolore con la speranza, ormai vana, che arrivi una notizia che dica “abbiamo preso una cantonata”. Un dramma per ogni appassionato di sport. Ci sarà modo e maniera di ricordarlo per ciò che ha rappresentato nel basket mondiale. Per ora c’è troppa commozione e la consapevolezza che una famiglia non avrà mai più serenità. Ciao Kobe, ciao Black Mamba